Madre Perduta |
Desiderante Smarrito |
Nascita di Venere |
L'Acqua del Cambiamento |
La mostra personale “Venustas
Salutem Afferens” ha luogo nella torre civica di Mozzanica (BG); il suo
sviluppo verticale mi ha fatto ragionare su un percorso di tipo ascensionale, in
qualche modo salvifico, come nella Commedia dantesca, dove grazie all’intercessione
del Femminile si diventa “beati”. Non ho voluto fare una illustrazione, ma,
elaborando il tema sono giunto a queste pur temporanee conclusioni:
si parte dal basso, dall’ “inferno” in terra, dall’angoscia
di chi non ha più una stella da seguire nel cammino della sua vita. “Desiderante
Smarrito” ci parla di questo, di un desiderante
-e perciò di chi si orienta grazie alle stelle, come i marinai- che però
non riesce più a vedere quella Venere lucente che è la Bellezza che dovrebbe
guidare l’Uomo. Venere come “stella del mattino” e “stella maris”, ma Venere anche come divinità femminile e quindi il
Femminile che genera Vita in senso più ampio. “Madre Perduta” è da leggere in
questo senso: questa stella che però è ammantata di tenebra. Di più: Venere
nasce dal mare come il pecten, ossia
la conchiglia che è rotta davanti al Desiderante, e il mare è Acqua, che è
Vita, e l’acqua che al contempo scorre e rappresenta quindi un percorso, un
cammino, una evoluzione e una crescita; non a caso è il simbolo dei pellegrini.
Conchiglia rotta che significa che il percorso si è interrotto, e che il
navigare in un mare di tenebra rende il remo inutile.
Salendo si passa alla “Nascita di Venere”: la storia della
nascita di Venere inizia quando Kronos, divinità del tempo, recide gli
attributi del padre Urano, divinità del cielo e “delle idee”, il quale non
permetteva ai figli che generava con Gea, la terra, di far parte del mondo.
Togliendo il dominio ad Urano, Kronos permette che questi figli possano entrare
a far parte finalmente dello spazio e del tempo, liberandoli dall’essere solo
trascendenza e completandoli con la parte “reale” fisica. Dalla schiuma causata
dalla caduta degli attributi di Urano nel mar Mediterraneo, sulle coste
dell’Africa nasce Afrodite, Venere, dea della Bellezza Radiante –Bellezza che
concilia la bellezza dello Spirito con la bellezza esteriore e che irradia
rendendo migliore chi le sta intorno-, che come gli altri dèi si manifesta nel
mondo. Bellezza che quindi viene sia da Urano che da Kronos, che ha in sé caratteristiche
sia trascendenti che immanenti.
La clessidra è il
simbolo del Tempo che inizia a scorrere, e sopra vi è una “bussola”, una rosa dei venti che indica le direzioni e perciò lo
Spazio nel quale il tempo scorre. Di più: Venere è la stella del mattino, la
stella che i marinai seguivano per non perdersi, perciò la stella della
Bellezza in senso vero da seguire per l’Uomo per vivere nel miglior modo.
La conchiglia, il
pecten è invece, come si scriveva all’inizio,
simbolo dell’acqua che è vita e
cambiamento, e del pellegrino che è colui che viaggia nel percorso della vita,
che dovrebbe cercare questa Bellezza che può cambiarlo e renderlo Vero e Vivo.
I bracciali sul
braccio destro, il quale è simbolo della razionalità, indicano che questa è legata e non può essere sufficiente da sola a comprendere la Bellezza, ma ha bisogno della Passione, dell'irrazionalità, della follia del credere a qualcosa che c'è, che si sente, ma non si vede, e quindi della mano sinistra che regge (e perciò è direttamente a contatto) un rametto di mirto: è il rametto della pianta dietro alla quale Afrodite-Venere si nasconde dopo essere nata, che diventa quindi sacro a lei e porta i significati di Bellezza e di Femminile.
Al terzo piano vi è una fotografia insieme ad una poesia: la
fotografia mostra una Luna, e perciò il simbolo archetipico del Femminile che è
nel firmamento come le stelle che indicano la via, che nonostante il suo
essersi rivelata rimane ancora per qualche motivo irraggiungibile. La poesia
recita:
“Dietro sbarre d’eterea prigione
Irraggiungibile, pari, mia Luna;
Mi trafiggi senza pietà alcuna
D’inconsapevole radiazione.”
Il quarto piano presenta il disegno “Stella del Mattino”
allestito insieme ad un vasetto con un rametto di mirto e un’altra poesia:
“Varco
per l'universo, Stella radiante,
Via del mistero lucente,
Da te traspare argenteo, inebriante,
Il dolce lume fuggente.”
La Stella del Mattino (tra gli epiteti di Venere) come già
scritto era ciò che guidava i marinai e i soldati durante la notte: come questi
“desiderantes” cercavano la propria
via, l’uomo usa come “bussola” la stella più luminosa, la stella della Bellezza
che è Veritas.
Le ciliegie sono
simbolo di questa Bellezza che è stata portata a compimento, che ha dato frutto: esse sono il frutto che nasce dal fiore di ciliegio,
il quale ha cinque petali; il numero cinque è legato a Venere e simboleggia
l’armonia dei quattro elementi con la presenza del quinto che è lo spirituale,
il trascendente, e non è casuale che le stelle
nella tradizione iconografica siano raffigurate con cinque punte.
Perciò è solo seguendo la Bellezza che si porta a frutto ciò
che abbiamo in potenza: è nella mano sinistra che lei regge le ciliegie, come a
dire che è solo appassionandosi alla Bellezza che si diviene migliori, poiché
la razionalità per quanto necessaria ha bisogno della Passione, che è Pathos e quindi la capacità
“irrazionale” di “sentire” oltre, di amare e saper soffrire per ciò che si ama.
Di più: le ciliegie sono tre (numero dell’eternità: l’uno che si completa nel
due e si proietta nell’eternità nel tre), e formano un triangolo che punta
verso lo spettatore, e per estensione il mondo reale; i piccioli invece formano
una piramide che punta verso l’alto, il trascendente, a ribadire la presenza
dei due elementi nella Bellezza.
Le
ciliegie sono legate a Maria (“nuova Venere”, varco per l’universo), in un
episodio raccontato in versioni differenti ma con epiloghi uguali sia nel
vangelo apocrifo dello Pseudo Matteo, sia nel Corano: mentre lei era incinta si
narra che Giuseppe, tornando dal lavoro, venisse chiamato da lei che lo
aspettava sotto un albero di ciliegio; essendo incinta le era venuta la voglia
di mangiare dei frutti di quell’albero, però erano troppo in alto perché lei
riuscisse a prenderli. Maria chiese a Giuseppe di provvedere, ma lui, ancora scettico
nei confronti della paternità del Figlio (aveva avuto sì un sogno, ma chi si
fida completamente di un sogno?), fece prevalere il risentimento e rispose che
non l’avrebbe fatto, e che fosse il padre di quel bambino a prendere i frutti
per lei, e si allontanò; ma nel percorso del cammino verso casa egli, preso da
nostalgia di quella donna che amava, così bella da far mancare il fiato, si
voltò, e vide che il ramo più alto e più carico di frutti si piegò misteriosamente
verso Maria, cosicché potesse attingervi.
Giuseppe quindi capì e corse verso lei, la strinse a sè, e da lì iniziò la
Storia come la conosciamo oggi: la Bellezza-Veritas,
nel racconto Dio, che sembrava solo trascendente, decide di farsi uomo e quindi
di passare da qualcosa che era in potenza come il fiore del ciliegio, a
qualcosa che invece viene portato a frutto nel ventre di Miriam di Nazareth,
come la ciliegia.
Salendo al quinto piano troviamo lo spolvero “L’Acqua del
Cambiamento”: l’uomo che era a terra, distrutto, spiazzato e senza speranza,
senza sapere cosa de-siderare né direzione verso cui andare, si trova di fronte
alla Bellezza, qui impersonata ancora simbolicamente dal Femminile che genera
Vita: questo permette a lui di rialzare la testa e con essa il suo essere, il
potere della Bellezza che si rivela è quello dell’acqua contenuta nell’otre,
l’acqua che è Vita e dalla quale secondo il mito è nata Venere, l’acqua che nel
suo scorrere è percorso e cambiamento. La Bellezza che permette quindi alla
Vita di tornare a scorrere.
All’ultimo piano si trova una statua in terracotta sempre raffigurante
Venere: è il rafforzare il concetto della presenza reale della Bellezza;
inoltre vi sono la conchiglia che stavolta è integra, “ricomposta”, insieme ad
un piccolo vaso che rimanda all’acqua, e delle rose: sotto ai petali vi è una
struttura a stella a 5 punte, quindi simbolica della stella della Bellezza,
dalla quale parte il percorso a spirale dello sviluppo dei petali stessi, e
perciò il percorso dell’Uomo che tende alla Bellezza (e che forse proviene da
essa), e in più sono petali rossi, il colore del pathos di cui si scriveva prima: la Bellezza che nel suo rivelarsi
deve appassionare l’Uomo, affinché possa tendere a essa e percepirla da e oltre
la razionalità, in modo da fargli comprendere che vale la pena perseguirla, e
di conseguenza renderlo capace anche di soffrire per essa, qualunque forma assuma
per ogni individuo.
"Venustas Salutem Afferens", la Bellezza-che-viene-da-Venus/Venere che porta la salvezza all'Uomo.
"Venustas Salutem Afferens", la Bellezza-che-viene-da-Venus/Venere che porta la salvezza all'Uomo.